No Guru, No Method, No Teacher: storia di un capolavoro
“Nella canzone popolare nessuno ha mai realizzato le ambizioni visionarie di William Blake come Van Morrison”. (Nick Coleman)
Sedicesimo disco in studio, pubblicato il primo luglio 1986. Album che ha già raggiunto la ragguardevole soglia dei 38 anni e che nel 2026 compirà 40 anni. Faccio questa digressione non per amore di numeri e corollari, ma perché si fa davvero fatica, ascoltandolo oggi a realizzare che sia ormai un'incisione storica, così datata. Il Van Morrison produttore, arrangiatore ed esecutore, sale in cattedra in quel periodo, dando un'ulteriore prova di come si possa realizzare un disco e ottenere un particolare tipo di sound. Un upgrade necessario, per usare una espressione dei nostri giorni. Non che i dischi del decennio precedenti suonino vecchi, ma qui grazie alla tecnologia dell'epoca e al lavoro di sintesi dei musicisti coinvolti, si raggiunge una nuova vetta, un vertice realizzativo e compositivo difficile da superare in futuro.
Siamo davvero dinnanzi a un grande disco, un capolavoro da discutere,
sviscerare e analizzare in modo strutturato ed equilibrato. Non vi nascondo che
è per me una grande emozione e una responsabilità raccogliere i dati, tentare
una nuova analisi e fare del mio meglio per restituirvi tutto quello che questo
disco porta con sé, in termini di bagaglio formativo, concettuale e artistico.
Dove eravamo rimasti?
L'ultimo brano presente su A Sense of Wonder (1985) disco che precede di
poco questo nuovo album (No Guru) ci aveva già fatto ascoltare ed entrare
nell'universo creativo, mistico e fatato del suo autore. No Guru infatti
prosegue in modo abbastanza lineare il percorso inaugurato con Beautiful Vision
e con Inarticulate e si collega in modo simbiotico con A Sense of Wonder,
proseguendo il discorso in modo coerente, ma con una zoomata in avanti, che ci
conduce in un posto meraviglioso, in un "mistico giardino" dove il
tempo più che fermarsi viaggia in direzione docile, ma controcorrente.
Siamo proiettati nella terra dell'eterna giovinezza, la Tir Na Nog, con cui
Morrison apre il lato B di questo LP. Prima però c'è stata un lato A che per
certi versi si può accostare a quello di Moondance, per qualità, valore, concetti. Got to go Back, che oggi pare quasi una citazione al romanzo
fantascientifico di Ready Player One o a quel magnifico saggio di Simon
Reynolds, RETROMANIA, è un manifesto programmatico senza eguali. Il brano è una
pagina di diario del Morrison adolescente che ascoltava durante il doposcuola
il vero maestro e l'artefice del proprio talento creativo: quel Ray Charles di
I believe to my Soul. Siamo ben piantati in terra, anzi accovacciati in una
ideale alcova, ma viaggiamo su altitudini raramente conosciute. La raffinatezza
dei suoni e la semplicità con cui Morrison e i suoi musicisti aprono su stanze
di vita quotidiana di proustiana memoria è una vera delizia per il palato, come
il dolcetto che fa da trait d'union per consentirci di compiere questo viaggio
al passato, in un villaggio che si chiama Paradiso.
L’originalità di Morrison è nel suo liberissimo modo di affrontar la
musica, nel suo muoversi al di fuori di schemi prefissati e seguire soltanto le
correnti del cuore, le emozioni di una poesia che riesce a farsi musica nella
maniera più completa ed affascinante. Alla domanda sul significato nascosto del
titolo Morrison risponde: "Beh, in una delle canzoni è citata
questa frase dove io cerco di farti osservare un programma di meditazione
trascendentale. Se tu ascolti la canzone attentamente fino al termine,
raggiungerai una tranquillità cerebrale. Vorrei qui affermare per l'ennesima
volta che io non faccio parte di nessuna organizzazione, che non ho nessun guru
al mio servizio, né insegnanti, né metodi a cui sottostare, e tutto quello che
affermo nel brano risponde a verità."
Il titolo dell'album evoca una citazione del 1966 di Jiddu
Krishnamurti: "...non c'è insegnante, né allievo; non c'è leader; non
c'è guru; non c'è Maestro, né Salvatore. Tu stesso sei l'insegnante e
l’allievo; tu sei il Maestro; tu sei il guru; tu sei il leader; tu sei
tutto."
L'album ebbe un notevole successo di critica grazie soprattutto
all'omogeneità delle composizioni, dove ritroviamo i temi più cari e sentiti
dell'irlandese; la nostalgia della sua terra e dell'infanzia, e la continua
ricerca religiosa, con meno dogmi e aperta a nuove concezioni di fede, sempre
basate sul naturalismo vitale, unica forza positiva e vera Musa dell'artista.
No Guru è una ispirata e riuscita riflessione sul rapporto tra il corpo e la
mente e tra l'uomo e la natura. Ascoltare un lavoro di questo tipo è una
esperienza trascendente, che può arricchire chi ha la mente libera al pari
della lettura di un buon romanzo o della visione di un film d'autore, o se
preferite di una visita alla Galleria degli Uffizi.
Bisogna fare un plauso anche a Jim Stern e a Mick
Glossop, gli ingegneri del suono e ai musicisti che prendono parte
all’opera, registrata prima a Londra e poi ai Record Plant Studios di
Sausalito, California.
Ritorna Terry Adams, la splendida violoncellista che faceva
parte della Caledonia Soul Orchestra, ma è presente anche quel nucleo di
strumentisti con cui Van Morrison ha registrato alcuni dei suoi dischi più
importanti. Sto parlando del bassista David Haynes, del
chitarrista John Platania e del pianista Jef Labes,
che qui arrangia anche gli archi nel brano Tir Na Nog. Ci sono poi altri
musicisti che fanno capolino, alcuni per restare, come Kate St. John,
che col suo oboe impreziosisce i brani Got to Go Back, Here Come the Knight e
Foreign Window, altri no, come nel caso del percussionista Babatunde
Lea.
Più che un discorso di singole eccellenze, c’è da sottolineare
come il lavoro finale d’insieme rappresenti l’apice della produzione in studio
di Van Morrison. Siamo dinanzi a un lavoro che non sarà semplice replicare e
ripetere, come se vi fosse al suo interno una particolare alchimia, una chimica
tra strumenti, suoni, arrangiamenti e brani. Si tratta di qualcosa di semplice,
buono e naturale come abbeverarsi a una sorgente dopo aver camminato lungo un
terreno scosceso. È come ritrovare la luce dopo aver visitato una caverna,
ritrovando la parte buona e sana di noi stessi. Per avere effetto è necessaria
una buona predisposizione mentale e una attitudine all'ascolto di canzoni
profonde e semplici, senza mai correre il rischio di essere banali. Le canzoni
di Van Morrison, nei migliori casi, sono capaci di trasmettere emozioni che non
pensavamo più di poter provare. Come il primo giorno di scuola, il primo bacio
con l'amore della nostra vita, il momento speciale che conserviamo gelosamente
tra le pagine d'oro del nostro intimo diario.
Per Brian Hinton in No Guru "c'è una grazia e una
maestosità che ho sperimentato piuttosto raramente nella musica rock".
Personalmente faccio molta fatica a trovare un brano che non sia degno di nota e di elogi, ma
se proprio dovessi individuare le canzoni memorabili la scelta cadrebbe su questa ridotta sequenza: Got to Go Back, Oh the
Warm Feeling, In the Garden, Tir Na Nog, Thanks for the Information. Siamo dalle parti del capolavoro ed è corretto accostare queste canzoni alle incisioni dei precedenti Astral Weeks, Moondance, Veedon Fleece e Into the Music, per capirci. Per concludere vorrei convintamente affermare che non
c'è bisogno di essere persone colte per amare un disco di questo livello. Esso
si rivela a chi ha cuore libero e orecchie aperte. Il resto verrà da solo, se
sarete fortunati.
Citando l’insuperabile Henry David Thoreau:
“C'è
una sorta di fertile tristezza ch'io non voglio evitare, ma che, anzi, cercherò
ardentemente. Essa diviene concretamente gioiosa per me perché impedisce alla
mia vita di cadere nel banale.”
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